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La partita di questa sera ha ulteriormente dimostrato una cosa: ce la potremmo giocare con tutte le squadre della Serie A tranne l’Inter. Ce la potremmo giocare con un allenatore serio e vero, con questo invece partiamo sempre con il gap. Il 4-4-2 del primo tempo è stata una versione ancora più da film horror rispetto a quella vista due settimane fa a Bergamo e non si può concedere sempre un tempo agli avversari perché se la Roma avesse chiuso con due o tre gol di scarto prima dell’intervallo nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Non puoi riproporre Seedorf largo a sinistra, non puoi impostare la manovra offensiva sui cross di Abate se poi mandi Ronaldinho e Pato a fare a sportellate con i centrali difensivi avversari. Non puoi trasformare la linea difensiva rossonera nella Casa delle Libertà all’insegna del “facciamo un po’ tutti quel cazzo che ci pare”, chi a suo tempo vide L’ottavo nano ha colto la battuta. Se poi non c’è uno che pressi un minimo i portatori di palla avversari ti ritrovi a palla libera con la difesa “schierata” e per un caso strano della sorte è l’ultimo degli uomini che pensi che ti possa salvare che lo fa: Nelson Dida. In modo stilisticamente orribile e goffo ma lo fa e non una volta, più d’una.

Cosa sia successo negli spogliatoi non è dato saperlo. Forse Leonardo si è esibito in una performance alla Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”, forse Tassotti ha detto a Leo che era il caso di cominciare a prepararsi per le partite sudamericane della notte da visionare (ce ne sono vero?), forse Galliani sceso cinque minuti prima ha preparato un duetto con Alciato all’insegna della dimostrazione di quanto sia “pericoloso” farlo incazzare (a proposito ma quanti erano i paganti stasera? A occhio mi sembrano pochini e insisterei…), forse solo l’infortunio di Abate ha fatto cambiare idee tattiche al brasilian-berlusconiano della panchina che proprio non ce la fa a togliere Ronaldinho dal centro del giuoco per metterlo largo a sinistra. Forse il 4-2-3-1 del secondo tempo con Inzaghi punta centrale e dietro da destra Pato, Seedorf e Ronaldinho non avrebbe mai prodotto risultati se San Burdisso da Altos de Chipiòn non avesse steso Nesta in posizione assolutamente defilata e con tutta la difesa giallorossa schierata. Forse se Rosetti avesse usato lo stesso metro col rigore di Thiago Silva su Menez non dato nel primo tempo staremmo a parlare di un’altra partita ma questi discorsi lasciano sempre il tempo che trovano.
 
Non aspettatevi comunque che vi dica che ora è tutto a posto, che siamo grandi o che abbiamo risolto tutti i nostri problemi con questo due a uno che sta parecchio stretto alla squadra ospite. Nel primo tempo si è toccato con mano il baratro vuoto e buio cui ci sta conducendo piano piano questa proprietà con tutti i suoi delegati conniventi, Leonardo compreso. Si tratta solo di aspettare quando non avranno più niente da dare il gruppo di tutti gli acquistoni del periodo d’oro, di quando investire nel calcio non solo non era immorale ma anzi era sinonimo della grandeur prenditutto del Cavaliere. Non è stato oggi ma se continuerà così l’andazzo nei palazzi dove si decide il destino dell’Ac Milan spa in quel baratro ci cadremo prima o poi. Lo stadio semi-vuoto fischiava, i giocatori si guardavano persi come vecchi eroi incapaci di riconoscere loro stessi, ogni azione perfino la più semplice come un corner era improvvisata e lasciata al dilettantismo, non c’era la voglia di lottare per la maglia, non c’era un leader che guidasse il gruppo, né in campo né in panchina. Era palese la sensazione di uno sparuto gruppo di marinai abbandonati alle onde della tempesta da armatore della nave e comandante. Si è percepito il senso d’impotenza e di sbando mentale e tattico. Aleggiava il fantasma di Kakà e di tutte le prese in giro di Berlusconi di quest’estate. Aleggiava più quello che rappresentava Kakà per i tifosi e per la squadra che il giocatore stesso, il collante fra le proprie debolezze ed il senso di vincerle con la sua sola presenza. Aleggiava la polisportiva Milan così come la seconda retrocessione sul campo, tutte cose che anche questa presidenza ormai solo virtuale potrebbe portare, ed il milanista lo sa, lo intuisce, lo teme.