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Non sapremo mai esattamente cosa sia successo nelle due settimane successive alla partita con l’Atalanta ma qualcosa è accaduto, qualcosa di estremamente positivo che forse è scattato alle parole da vero capitano di Nesta alla fine di quel match pareggiato nel finale dopo aver regalato un tempo intero. Era un Milan senza arte né parte, senza un’identità, senza uno spirito di gruppo. Non si trattava solo di questione di schemi o di uomini ma proprio di ciò che viene prima e cioè dell’idea di squadra che un tecnico deve essere capace di trasmettere al gruppo. La sensazione palese era quella di undici giocatori che si autogestivano in campo, di undici giocatori che non credevano in quello che facevano durante la partita così come in quello che veniva loro trasmesso negli allenamenti durante la settimana. Eravamo insicuri e pavidi, ordinari. La squadra non ci regalava nessuna emozione.

Poi Leonardo decide di giocarsela di testa sua, di tornare a quel 4-2-1-3 che aveva abbandonato già a partire dal secondo tempo dell’amichevole con i Galaxy del “nostro” Beckham. Decide che se proprio deve fare brutta figura ed essere cacciato è meglio farlo dopo aver combattuto affinché il Milan giochi ispirandosi al suo credo tattico. Non importa se la proprietà non gli ha regalato quei due acquisti che gli avrebbero fatto comodo per avvicinarsi a quel Brasile dell’82 cui tanto guarda e reso la vita certamente più facile, decide di rimboccarsi le maniche e di provarci con quello che ha. E’ l’unico modo per tentare di guarire dalla sterilità offensiva e da quel gusto per la sfida che molti del Milan devono sentirsi addosso per dare il meglio di sé. L’ultimo orrore lo vedremo nel 4-4-2 del primo tempo con la Roma, figlio probabilmente di una chiacchierata con la vecchia guardia forse restia a cambiare mentalità proprio contro una squadra data in piena salute, poi in quello spogliatoio tra un tempo e l’altro si è definitivamente trovato il coraggio di scommettere su se stessi nonostante tutto, nonostante quello stadio semi-deserto che fischiava, nonostante quel presidente così lontano quando le cose vanno male, nonostante quell’amministratore delegato bravo solo a prendersela ingiustamente con un preparato e serio giornalista dopo una sconfitta interna con lo Zurigo. Da quel momento Leonardo è diventato un tutt’uno con la squadra perché è riuscito ad imporre le sue idee al gruppo, a farle accettare trovando lo spirito di sacrificio in chi non aveva mai corso così tanto nella sua carriera (Seedorf per esempio), è diventato leader in panchina e non corpo estraneo-longa manus del presidente che aveva mandato via Kakà e Ancelotti, persone che la vecchia guardia amava e stimava e che mai avrebbe voluto veder allontanate. Lui ora è una persona che sta imparando a farsi apprezzare da quelli che allena anche come tecnico e non più solo come amico-dirigente.

Ed eccoci qui. Ronaldinho largo a sinistra, Pato largo a destra, un centravanti fra i tre a disposizione (ma il titolare è Borriello se sta bene), Pirlo fisso come uno dei mediani davanti alla difesa e gli altri tre (Gattuso, Ambrosini, Flamini) ruotano, Seedorf vertice alto e uomo di raccordo fra attacco e mediana. In difesa la coppia centrale titolare Thiago Silva-Nesta mentre sugli esterni ruotano Oddo, Zambrotta, Antonini, Abate. In porta prima Storari, ora Dida, in futuro Abbiati. Squadra volutamente lunga con tre uomini che tornano pochissimo (anche se ieri nel secondo tempo mi sono piaciuti parecchio in entrambe le fasi), Seedorf invece lo fa abbastanza spesso, i due mediani che tendono a stare ben piantati a protezione della difesa ed i terzini che non salgono mai assieme, sale quello che si sovrappone all’attaccante esterno in possesso di palla per sfruttarne il passaggio sulla corsa. Così vediamo Pato diventare decisivo con i tagli in area di rigore partendo dalla fascia destra, Inzaghi che si applica nel fare i movimenti alla Borriello venendo incontro al portatore di palla per poi assistere il compagno che scatta dietro ai difensori avversari, Ronaldinho che quando gli gira non solo fa il regista laterale con un piede ed una visione di gioco unici (5 assist per lui) ma addirittura dà il via alle ripartenze come ieri nell’occasione del gol del vantaggio. Ora lo posso dire senza timore di smentite, questo non è più il Milan di Tassotti, non è quello di Ancelotti, non è un ibrido senza spina dorsale, è il Milan di Leonardo.

Lo è nel bene e nel male anche se per ora possiamo dire che ci ha portato un pari a Napoli (come son contento di vedere i gobbi solo a due punti da noi dopo che sono stati battuti dai partenopei) e vittorie a Madrid, a Verona, contro il Parma e contro la Roma. Insomma niente male direi. Segnamo con continuità che era il nostro problema, prendiamo qualche gol di troppo ma è il rischio della scommessa di cui parlavo e quando non ne subiamo dobbiamo ringraziare l’uomo che non t’aspetti: Dida. Sono molto ottimista perchè vedo in Leonardo una persona che mi ha fortunatamente smentito alla grande e cioè uno che può diventare un grande allenatore. E’ umile, ha capacità d’ascolto, è intelligente ed autocritico, impara in fretta dai suoi errori (vedasi la sublime gestione della gara di ieri rispetto a quella pessima col Napoli) e soprattutto si è mostrato decisionista nel momento di maggiore difficoltà, poteva lasciare andare avanti la squadra per inerzia ed invece lui si è giocato le sue carte all’insegna del motto "se sbaglio voglio farlo con la mia testa". Bravo Leo, così ti volevamo! Potrai fare altri errori e perdere altre partite ma nessuno potrà negare che ci hai provato a dare la tua impronta alla squadra, a darle un’anima e a noi gioia nel vederla giocare.